Leonardo e la visione maculare

“Noi conosciamo chiaramente che la vista è delle piú veloci operazioni che sieno, ed in un punto vede infinite forme; nientedimeno non comprende se non una cosa per volta. Poniamo caso, tu, lettore, guardi in una occhiata tutta questa carta scritta, e subito giudicherai questa esser piena di varie lettere; ma non conoscerai in questo tempo che lettere sieno, né che vogliano dire; onde ti bisogna fare a parola a parola, verso per verso, a voler avere notizia d’esse lettere.”

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Figura 1 – Leonardo da Vinci

Queste parole sono derivate dal Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, un testo in cui il grande pittore (e scienziato) rinascimentale annotava le sue osservazioni sulla pittura, sui suoi rapporti con le altre arti e sui meccanismi visivi, che circolò per lungo tempo come manoscritto prima di essere stampato con questo titolo. Tra gli scopi del Trattato vi era anche quello didattico; e in effetti il titolo che Leonardo dà al capitolo (il 47°) da cui il brano è derivato èQuale regola si deve dare a’ putti pittori (cioè quale insegnamento si deve dare ai ragazzi che vogliono apprendere la pittura) allude proprio al significato didattico che egli vuole attribuire all’osservazione sulle caratteristiche della visione. Leonardo prende qui a prestito un esempio dalla fisiologia visiva (sul quale ci tratterremo abbastanza diffusamente per l’interesse che riveste in rapporto alle proprietà fisiologiche della macula) per dire ai giovani desiderosi di apprendere l’arte del dipingere di non agire con precipitazione, di non voler tutto imparare in un solo colpo, ma di seguire un metodo graduale, evitando la fretta e procedendo invece con diligenza. Continua infatti Leonardo in questo modo:

Ancora, se vorrai montare all’altezza d’un edifizio, converratti salire a grado a grado, altrimenti sarà impossibile pervenire alla sua altezza. E cosí dico a te che la natura volge a quest’arte: se vuoi aver vera notizia delle forme delle cose, comincierai dalle particole di quelle, e non andare alla seconda, se prima non hai bene nella memoria e nella pratica la prima. E se farai altrimenti, getterai via il tempo, o veramente allungherai assai lo studio. E ricordoti che impari prima la diligenza che la prestezza.

Prima di sviluppare il tema fisiologico dell’osservazione di Leonardo sul fatto che l’occhio pur vedendo in un punto [cioè in un istante] infinite forme, ciononostante non comprende se non una cosa per volta, vi invitiamo a verificare quello che egli scrive: guardiamo una parola, o alcune lettere, di una riga del brano e poi, mantenendo lo sguardo ben fisso (e quindi reprimendo ogni possibile movimento dell’occhio) sforziamoci di leggere una parola distante da quella fissata (per esempio dirigiamo lo sguardo su una parola nella parte a sinistra, all’inizio della riga, e proviamo a leggere quello che c’è scritto sulla stessa riga all’estrema destra). Ci accorgeremo allora che la cosa è del tutto impossibile. Pur “vedendo” la parola, non riusciamo a leggerla. Potremo continuare il nostro piccolo esperimento, tenendo sempre lo sguardo fisso sulla stessa parola e cercando di leggere parole via via meno lontane. Ci renderemo conto, forse con una certa sorpresa, che riusciamo a leggere solo le lettere o le parole vicinissime al punto verso cui dirigiamo lo sguardo. Sebbene il nostro sguardo abbracci tutto lo schermo del computer (e anzi si estenda anche a scritte e situati al di fuori dello schermo del computer), riusciamo infatti a leggere distintamente solo le poche lettere o parole situate su una piccola superficie al centro del nostro campo di osservazione visiva.

La zona privilegiata del nostro campo visivo in cui la nostra capacità di vedere è particolarmente sviluppata (al punto che riusciamo a leggere e a capire anche lettere e parole scritte in caratteri abbastanza minuti) ha il diametro di pochi gradi di angolo visivo. Gli angoli visivi sono grandezze utili per un fisiologo della visione o per l’oftalmologo, ma di comprensione intuitiva poco immediata. Per convertirli in grandezze più familiari (e per renderci così meglio conto dell’estensione di questa zona di visione particolarmente distinta), teniamo conto che un grado di angolo visivo corrisponde alla dimensione lineare di circa un centimetro quando l’immagine (nel nostro caso lo schermo del computer) è guardata dalla distanza di circa 60 centimetri. La zona di visione distinta corrisponde a quella parte molto piccola situata al centro della nostra retina che è indicata come “macula” (o “macula lutea” per il colore giallo che assume). Questa zona è molto diversa dalle parti circostanti della retina per le caratteristiche e la disposizione delle cellule visive e per le loro connessioni: tra le cellule sensibili alla luce, o fotorecettori, sono rari i bastoncelli – i fotorecettori di gran lunga più abbondanti nella parte periferica della retina – mentre sono numerosi i coni; questi poi hanno dimensioni estremamente ridotte. Nella macula inoltre i fotorecettori si connettono in un modo diverso che nelle zone periferiche alle cellule destinate a portare il messaggio visivo verso le zone più centrali del sistema nervoso e in particolare verso il cervello.

Le specializzazioni nelle caratteristiche dei fotorecettori e delle loro connessioni raggiungono un grado particolarmente elevato nella zona centrale della macula, indicata come fovea (o fossetta) per la presenza di una piccola depressione: nella fovea ci sono solo coni e questi sono particolarmente piccoli e strettamente impacchettati l’uno all’altro.

È la fovea la zona in cui la nostra visione è particolarmente acuta; ed è verso la fovea che noi tendiamo a far cadere l’immagine di un oggetto quando lo fissiamo col centro dello sguardo. Il diametro della fovea è di meno di mezzo millimetro, e corrisponde a circa un grado di angolo visivo (e cioè approssimativamente a un centimetro per una superficie guardata da circa 60 centimetri di distanza).  La nostra capacità visiva è massima al centro della fovea e degrada rapidamente nelle zone circostanti. Una misura di questa degradazione ci può essere offerta dall’immagine qui sotto. Se non abbiamo difetti visivi, e se guardiamo l’immagine da una distanza tale da riuscire a leggere a malapena le lettere al centro della figura, allora ci accorgeremo che riusciremo con la stessa difficoltà a leggere le lettere circostanti progressivamente più grandi: se le lettere rimanessero però della stessa grandezza di quelle centrali invece noi distingueremmo solo le lettere centrali. In altre parole, l’ingrandimento delle lettere dal centro verso la periferia è una misura del progressivo degradarsi della nostra capacità visiva andando dal centro della macula verso la periferia della retina.

 

Figura 2

Figura 2

Una domanda sorge forse legittima a questo punto: perché il nostro sistema visivo è fatto in questo modo? e perché alla periferia del nostro campo visivo non vediamo ugualmente bene che al centro?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare alcuni aspetti dell’organizzazione del sistema visivo. La parte della corteccia visiva situata nella zona occipitale del cervello (cioè verso la nuca) collegata alla macula occupa all’incirca la metà di tutta questa corteccia visiva. Questo indica che le informazioni visive provenienti dalla macula richiedono un gran numero di cellule nervose per essere elaborate in modo appropriato. È stato calcolato che se volessimo riservare lo stesso trattamento a tutta la superficie visiva della retina allora l’area visiva cerebrale dovrebbe occupare una superficie circa quaranta volte più grande dell’intera superficie del cervello!

L’organizzazione del nostro sistema visivo con una zona centrale ad alta capacità di discriminazione visione e zone periferiche con visione progressivamente meno dettagliata (che è simile a quella presente in molte scimmie evolute) è un arrangiamento evolutivo che permette di mantenere allo stesso tempo un campo visivo vasto e una grande capacità di visione dei dettagli. Non è possibile avere una visione ricca di dettagli per tutto il campo visivo per le ragioni a cui abbiamo accennato sopra (e che hanno a che vedere con la grande quantità di informazione che giungono al sistema al sistema visivo dalla macula e dalla fovea (le strutture della visione più acuta). D’altra parte una visione acuta è stata importante per la nostra evoluzione perché ha reso possibile le grandi capacità di manipolazione e di lavorazione degli oggetti che ha caratterizzato lo sviluppo di homo sapiens e per altre importanti prestazioni comportamentali. Con le loro dimensioni molto limitate, la macula e la fovea corrispondono a questa necessità e la realizzano in modo adeguato senza costringerci ad aumentare a dismisura le dimensioni del nostro cervello. D’altra parte è importante anche disporre di una visione periferica, nonostante questa sia di necessità più grossolana. Immaginatevi di attraversare una strada vedendo solo la parte centrale del campo visivo e vi renderete conto che le vostre capacità di sopravvivenza si ridurrebbero drasticamente. La visione periferica è stata molto importante per i nostri progenitori perché ha reso possibile, tra l’altro, a molti di loro di sfuggire ai predatori. Sebbene infatti non ci permetta di distinguere con precisione i dettagli di oggetti (o animali o persone) che appaiono alla periferia del nostro sguardo, questa visione ci avverte in modo sufficientemente adeguato della comparsa di questi oggetti.

 

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Figura 3 – Sezioni del cranio con immagini dell’occhio e dei ventricoli cerebrali rappresentati in forma globosa secondo la dottrina classica delle “tre celle” del cervello (dai disegni di Leonardo conservati al castello di Windsor).

Il nostro sistema visivo ha poi sviluppato un meccanismo molto efficiente di movimenti degli occhi per cui noi tendiamo ad inquadrare in modo spontaneo  al centro del nostro sguardo quello che ci sforziamo di vedere  e anche tutto ciò che appare improvvisamente alla periferia del campo visivo. È proprio per questo che ci rendiamo poco conto di come la nostra capacità visiva periferica è grossolana in confronto a quella centrale, ed è necessario un esperimento come quello suggerito da Leonardo per rendercene conto.

Tornando a Leonardo e al brano citato all’inizio, bisogna  avvertire come fosse noto molto prima di lui che la visione acuta era ristretta a una parte molto piccola del campo visivo. Il fenomeno venne ben notato, tra l’altro, dal grande studioso di ottica arabo Alhazen (Ibn al-Haitham) vissuto attorno all’anno mille d. C. e autore del Kitab-al-Manadhir, l’opera più importante dell’ottica fisiologica medievale prima degli studi compiuti nel Seicento dal grande astronomo tedesco Giovanni Keplero.

Di Keplero e di altre cose ancora che riguardano l’ottica e la visione parleremo poi, ma, sulla scorta del consiglio di Leonardo lo faremo seguendo un ordine, una regola:  faremo le cose a grado a grado.

Marco Piccolino
Articolo a cura di Marco Piccolino
Centro di Neuroscienze, Università di Ferrara Autore di libri di storia della scienza