Mariotte e la macchia cieca

Oltre ad essere lo strumento straordinario che rende possibile la nostra visione (o forse proprio per questo) il nostro occhio è anche un dispositivo davvero sorprendente per conformazione e modo di funzionare. Uno dei suoi aspetti più singolari e inaspettati è il fatto che questo organo fondamentale della visione presenti una zona in cui è del tutto privo della capacità di vedere. Si tratta di una vera e propria “macchia cieca” di cui nessuno di noi si accorge nonostante che essa sia situata in un’area abbastanza centrale della retina (e dunque del campo visivo) e sia abbastanza estesa in ampiezza. Accorgersi dell’esistenza di questa zona di insensibilità retinica è stato per l’uomo tanto difficile che solo nel 1668 essa fu messa in evidenza, e per un caso molto singolare come vedremo, durante un esperimento realizzato dallo scienziato francese Edmé Mariotte, uno dei primi membri della Académie Royale des Sciences di Parigi (famoso per i suoi esperimenti sul vuoto che portarono alla celebre legge di Boyle e Mariotte).

Soffermarci per un istante sul problema della macchia cieca dell’occhio ci servirà non solo a conoscere aspetti singolari della struttura e del funzionamento di questo delicato organo, ma ci aiuterà anche per mettere in evidenza lo strano e complesso cammino attraverso il quale la scienza, o meglio gli scienziati, arrivano alle loro scoperte. Un cammino tutt’altro che semplice e lineare, come vedremo, e dove non raramente quello che si scopre va contro le ipotesi che avevamo elaborato. Ci sarà anche un elemento di gioco e divertimento in questa nostra “scoperta” della macchia cieca dell’occhio. Imparando a conoscere infatti la sua grandezza e la sua precisa posizione nel nostro campo visivo acquisteremo poteri straordinari e anche un po’ inquietanti. Potremo permetterci, con un batter d’occhi, di … privare un amico della testa; e poi con la stessa facilità ricollocare la preziosa estremità al suo posto senza alcun trauma: in un batter d’occhio appunto, semplicemente muovendo in modo appropriato il nostro sguardo. E’ proprio quello che diceva Mariotte al re di Francia, Carlo II, quando lo informava di aver scoperto un metodo per cui si poteva tagliare la testa di un cortigiano senza spargere una sola goccia di sangue!!!

Per capire questa storia di Mariotte e della “sua” macchia cieca dobbiamo considerare per un attimo la conformazione della parte interna dell’occhio. Dobbiamo in particolare concentrare la nostra attenzione sulla retina, la sottile membrana nervosa situata all’interno del globo oculare, il dove ha inizio il vero e proprio processo visivo.

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Figura 1

La figura qui accanto (click per ingrandire) rappresenta una sezione ideale dell’occhio con il particolare ingrandito di un piccolo pezzo di membrana retinica visibile nella parte a destra della figura. Seguendo il percorso della luce (indicato dalla freccia) troviamo i vari strati di cellule nervose della retina. Nell’ordine sono: le cellule ganglionari e le cellule amacrine, poi le cellule bipolari e le cellule orizzontali e infine, proprio sul limite esterno della retina, i fotorecettori, distinti in coni e bastoncelli. I fotorecettori sono le cellule nelle quali si verifica il primo evento nervoso della visione, dovuto, come è ormai noto da circa 150 anni, all’interazione della luce con gli speciali pigmenti fotosensibili situati nel settore più esterno di ciascun fotorecettore. Il segnale nervoso così generato (di natura elettrica), percorre in modo molto complesso i circuiti costituiti dalle altre cellule nervose e giunge infine alle cellule ganglionari, gli elementi finali dell’elaborazione del messaggio visivo nella retina. Le cellule ganglionari inviano poi questo segnale verso i centri cerebrali della visione attraverso le loro fibre che si stratificano sulla superficie interna della retina.

Figura 2

Figura 2

Per “uscire” dall’occhio, le fibre delle cellule ganglionari devono necessariamente perforare la retina, e lo fanno raccogliendosi in una zona conosciuta come papilla ottica (dando così origine al nervo ottico – si veda la struttura colorata in giallo nella figura qui a lato). (click per ingrandire).
La luce che colpisce la papilla non può dare inizio a nessun fenomeno visivo perché in corrispondenza di questa struttura mancano fotorecettori: la papilla è fisiologicamente cieca, corrisponde cioè alla macchia cieca messa in luce nel 1668 da Mariotte.

Chiarito il problema delle condizioni, diciamo strutturali, che spiegano la presenza di una zona cieca nel fondo del nostro occhio saremo forse ora curiosi di imparare a localizzare questa fantomatica zona di insensibilità nel nostro campo visivo. Prima però notiamo che questa disposizione è la conseguenza quasi necessaria del fatto che la retina è disposta con i fotorecettori all’esterno e le cellule ganglionari all’interno, cosa non proprio non del tutto ovvia a prima vista. Anche perché sarebbe sembrato tutto sommato più naturale che per giungere sui fotorecettori la luce non fosse stata costretta ad attraversare tutte le altre cellule retiniche.

Complessi sono i motivi di questa disposizione che si ritrova nell’occhio di tutti i mammiferi (ma non – guarda caso – in quello apparentemente simile del calamaro) e non possiamo approfondirle qui. Soffermiamoci invece un attimo sul famoso esperimento in cui Mariotte scoprì l’esistenza della macchia cieca perché presenta diversi motivi di interesse. Nel fare questo esperimento lo scienziato francese partiva da un’ipotesi del tutto opposta a quella che fu poi avvalorata dalle sue osservazioni: egli riteneva infatti che la zona da cui partivano le fibre del nervo ottico doveva avere sensibilità e acuità visiva particolarmente spiccate. Era questa in effetti la teoria che aveva dominato nei secoli precedenti la fisiologia visiva (e alla quale aderiva anche Leonardo per spiegare la grande acuità della visione centrale) quando si pensava che la visione fosse dovuta ai raggi che andavano a colpire direttamente le fibre del nervo ottico. Invece, disponendo in modo opportuno due piccoli cerchi di carta su di un muro e fissandone uno in modo tale che l’immagine dell’altro cadesse in corrispondenza della papilla ottica, Mariotte, da scienziato serio, fu costretto a riconoscere che l’ipotetico luogo di supersensibilità visiva era al contrario del tutto cieco. La scoperta di Mariotte fu accolta con molto interesse, ma al tempo spesso suscitò perplessità soprattutto perché sembrò strano allora – come sembra strano anche a noi adesso – che possa esserci un luogo cieco in una zona centrale del nostro campo visivo senza che noi ce ne accorgiamo in modo spontaneo. Inoltre, sebbene questa scoperta dovesse contribuire a dar sostegno all’idea che fosse la retina e non il nervo ottico la parte direttamente visiva dell’occhio, poco mancò che l’osservazione dello scienziato francese avesse invece l’effetto paradossale di escludere la retina dal processo visivo. Ciò rischiò di accadere perché, non conoscendo la struttura microscopica della retina e il modo in cui si forma il nervo ottico, Mariotte pensava che la membrana retinica fosse presente anche in corrispondenza della papilla ottica. Egli formulò l’ipotesi – criticata dai suoi contemporanei – secondo cui la visione inizia in una membrana della parete oculare situata all’esterno della retina, la corioide.

Ma veniamo ora al modo in cui possiamo localizzare la macchia cieca nel nostro campo visivo. In ciascun occhio la papilla del nervo ottico è situata nella parte interna (e cioè verso il naso) rispetto alla macula (che è invece la zona di grande acuità visiva e il luogo in cui dirigiamo lo sguardo quando vogliamo vedere chiaramente un dettaglio visivo, si veda la Fig. 2). Per l’inversione dell’immagine che si produce nel processo visivo la macchia cieca sarà quindi situata nella parte esterna del campo visivo (cioè verso la tempia rispetto al punto di fissazione). La distanza dalla macula è di circa 15 gradi di angolo visivo. Una distanza angolare di 15 gradi corrisponde a una distanza lineare di circa 15 centimetri quando guardiamo da una distanza di 60 centimetri. Questo significa che la zona cieca sarà alla distanza di circa 15 centimetri dal centro di fissazione dello sguardo (per una distanza di visione come abbiamo detto di 60 centimetri).

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Figura 3

Facendo riferimento all’immagine qui a lato (click per ingrandire) potremo verificare la presenza della macchia cieca nel nostro occhio a patto di seguire alcuni accorgimenti.

 

 

    1. Utilizziamo esclusivamente l’occhio destro per osservare l’immagine (coprendo con una mano l’occhio sinistro).
    2. Mettiamoci a una distanza dallo schermo di circa 60 centimetri se la distanza tra il punto nero sulla sinistra e la testa di gentiluomo del Seicento sulla destra è di 15 centimetri (o a distanze di visione proporzionalmente minori se la separazione è più piccola – o viceversa se è più grande – questo in funzione della grandezza dello schermo).
    3. Fissiamo (con l’occhio destro appunto) il punto nero e ci accorgeremo subito di non vedere per nulla l’immagine della testa sulla destra. (Se la cosa non accade immediatamente è solo perché la distanza di osservazione non è corretta: basterà allora avvicinarsi o allontanarsi di poco perché il fenomeno si verifichi).

Ecco come, con un po’ di attenzione, avremo fatto sparire, senza spargere sangue, la testa di Carlo I d’Inghilterra (è lui il personaggio raffigurato, che fu decapitato – ma per davvero – nel 1649). Nel nostro esperimento si noti come, al momento della scomparsa della testa del malcapitato re, la parte destra della figura appaia uniformemente rosa, senza che sia visibile alcuna macchia scura, o interruzione di qualsivoglia genere dello sfondo dell’immagine. E’ come se il sistema visivo completasse in modo automatico l’immagine nel punto in cui è presente la macchia cieca (e dove dunque ci aspetteremmo un vuoto visivo). A riguardo si potrebbe dimostrare che una lunga linea orizzontale passante per la macchia cieca del nostro campo visivo verrebbe vista per intero senza alcuna discontinuità in corrispondenza della zona cieca dell’occhio.

In una condizione meno artificiale dell’esperimento della Fig. 3 (e utilizzando sempre l’occhio destro) potremo ripetere l’esperimento con due amici (della stessa altezza), guardandoli alla distanza di circa 4 metri e facendo in modo che distino l’uno dall’altro un metro circa. Fissando lo sguardo sulla testa dell’amico posto alla nostra sinistra vedremo magicamente sparire la testa dell’amico situato alla nostra destra. Basterà poi allontanarci (o avvicinarsi) ai due amici, o cambiare anche di poco la posizione dello sguardo – per rivedere riapparire la testa del povero amico “decapitato”. Questi esperimenti possono essere eseguiti anche con l’occhio sinistro, usando però l’accorgimento di far collocare alla nostra sinistra l’amico da decapitare.

Dopo aver ripetuto varie volte la prova ci domanderemo anche noi, come fecero molti dopo Mariotte: ma è mai possibile che ci fosse una zona cieca nel nostro occhio e non ce ne siamo mai accorti?

Questo è solo uno dei tanti aspetti sorprendenti e affascinanti della scienza della visione.

Marco Piccolino
Articolo a cura di Marco Piccolino
Centro di Neuroscienze, Università di Ferrara Autore di libri di storia della scienza